L’acufene
o Tinnitus può essere definito come:
"un suono, o un rumore udito dal paziente in
una o in entrambe le orecchie, o all’interno della testa”.
Tantissime sono le descrizioni date da chi ne soffre.
Può manifestarsi come un
fischio,
un ronzio,
il rumore di una cascata,
un getto di vapore,
il suono di
una conchiglia, di
una cicala…..etc, essere presente 24 ore su 24 in modo
continuo, intermittente, variare di intensità nel corso della giornata, essere
influenzato dal suono esterno e, talvolta ostacolare lo stesso udito.
E’ un
problema molto diffuso, dal momento che circa il 10% della popolazione ha avuto
nel corso della vita “esperienza di acufeni”, ed il 4% di essi è stato o è
infastidito da esso.
Indipendentemente dalla sua origine, l’acufene
è stato fino a non molto tempo
fa, un vero e proprio “buco nero” per l’audiologo, perché solo in misura
relativamente modesta si poteva risalire ad una causa eziologicamente
dimostrabile, fosse essa di origine prettamente audiologica o legata ad una
patologia
sistemica come nel caso degli
acufeni
che si verificano nell’ipertensione
arteriosa, o riconducibile ad una
disfunzione delle strutture vicine all’orecchio come nel caso del
tinnitus
legato a disfunzioni
dell’articolazione temporo-mandibolare.
Si diceva
al paziente che “si doveva convivere con l’acufene perché non c’era alcuna
terapia” e questo non faceva altro che accrescere la frustrazione ed il fastidio
creato dall’acufene perché, come oggi si sa, non ci si può coscientemente
abituare all’acufene
se per il nostro cervello esso è un fastidio.
Gli
acufeni venivano classificati in
oggettivi
ossia
udibili dall’esterno,
come ad esempio quelli originatisi da una turbolenza a livello di un vaso
abbastanza vicino alla
coclea,
ed in
acufeni soggettivi
ossia
non udibili all’esterno.
Per
Prof. Jastreboff, neurofisiologo americano e padre della
TRT, questa
classificazione non va bene; egli ha proposto una suddivisione in veri
acufeni
(quelli che nell’altra classificazione erano nominati come
acufeni
soggettivi) e
rumori
somatici (i vecchi
acufeni
oggettivi).
In pratica secondo questa veduta gli acufeni nascono sempre per una
perturbazione a vari livelli della via acustica e vengono
uditi
esclusivamente dal paziente, come
una “percezione
fantasma”, mentre i
rumori
somatici sono dei
suoni a
genesi esterna che nulla hanno a
che fare con questa definizione di
acufene.
E’ ovvio
che in quella parte di pazienti in cui si risale alla eziologia o causa, è
possibile anche una terapia eziologica con discreto successo, è questo ad
esempio il caso degli
acufeni legati ad una
malocclusione dentaria o ad una
generica alterazione del sistema temporo-mandibolare; in questo caso la causa
sarebbe riconducibile ad una
iperattività muscolare anomala ad opera dei
muscoli
masticatori che riuscirebbe a sincronizzarsi ed ad essere avvertita dalle
strutture recettoriali dell’orecchio interno come un suono, o ad un’iperattività
del muscolo tensore del timpano
innervato dal
nervo trigemino.
Spesso,
tuttavia, questa causalità sfugge, in quanto si tratta il più delle volte di
fenomeni di
ipersensibilità o di
iperattività
a vari livelli dei
neuroni
che costituiscono la
via acustica, con
riduzione
dei controlli inibitori che fanno
diventare “in soglia” un rumore o suono che normalmente dovrebbe essere
filtrato.
Ancora
oggi la eziopatogenesi dell’acufene è oggetto di studio anche perché si tratta
di un sintomo per il quale non ci si può appoggiare ad un modello animale ed
inoltre l’acufene
non è sempre e solo legato ad un
calo d’udito
(ipoacusia) ma
si può verificare anche in pazienti perfettamente normoacusici.
Non
sempre si tratta solo di un problema riconducibile ad un puro e semplice danno
delle cellule dell’orecchio interno (cocleare) o del
nervo acustico (retrococleare)
come nel caso del danno da rumore o del
neurinoma dell’ottavo
(un tumore del
nervo acustico).
In
particolare nel caso dell’acufene legato a
danno cocleare è stato proposto come
possa essere il danno della
cellula ciliata esterna che a livello della
coclea
agisce come modulatore e amplificatore periferico dell’attività della
cellula ciliata interna (il vero e proprio microfono), a svolgere il ruolo di primaria
importanza nell’acufene ad
origine cocleare.
In
pratica è come se si avesse un microfono senza il potenziometro periferico e
quindi con minore sensibilità, ciò costringerebbe il
sistema
uditivo ad aumentare il proprio
guadagno correndo il rischio che si possano verificare dei fenomeni di
distorsione da cui originerebbero gli
acufeni.
Ma se
ribaltiamo un attimo il problema, indipendentemente dall’eziologia, appare
subito un dato evidente.
Per
intenderci se noi iniettiamo dell’istamina sottocute avremo sempre prurito, ma
se noi induciamo un acufene vi è una diversa reazione da parte dei soggetti,
diciamo che su 100 persone con
acufene
troveremo che per un 40% non vi è alcun
problema nonostante vi sia l’acufene, vale a dire utilizzando un paragone
efficace, l’acufene
in questi casi “è come portare un paio di occhiali”, mentre
per il restante 60% rappresenta un fastidio più o meno marcato da un livello
minimo e solo in certe situazioni ambientali e psico-fisiche, fino ad un livello
di profondo condizionamento negativo dell’esistenza.
Questo
indipendentemente dall’intensità dell’acufene. Difatti se noi effettuiamo delle
misurazioni dell’intensità dell’acufene presente in un orecchio per confronto
con un suono esterno da noi erogato di cui conosciamo perfettamente intensità e
frequenza (acufenometria), noteremo che
acufeni
di discreta intensità possono
essere di fastidio nullo per il paziente mentre al contrario
acufeni
di grande
intensità possono essere causa di profondo disconforto per il paziente. Pertanto non
è l’intensità del
Tinnitus il problema ma come questo segnale aberrante viene
letto ed interpretato dal cervello.
Questo
concetto è alla base della Tinnitus Retraining Therapy (TRT) o terapia di
riabilitazione all’acufene, proposta dal Neurofisiologo Pawel Jastreboff
Direttore del Tinnitus and Hyperacusis Center presso la Emory University di
Atlanta, unica terapia a livello mondiale ad avere avuto dei risultati concreti
e pubblicati.
Queste
considerazioni ci fanno capire perché le varie terapie
farmacologiche,
agopuntura,
psicoterapia,
etc. abbiano avuto il più delle volte scarsi o nulli risultati ed abbiano un
ruolo di mero supporto.
Jastreboff ha proposto un “modello neurofisiologico dell’acufene”.
A questo
proposito vanno fatte alcune premesse.
Non tutti i suoni sono uguali per il
nostro cervello. Ogni suono una volta che raggiunge la corteccia viene
confrontato con ciò che risulta in memoria e giudicato se affettivamente
negativo, affettivamente positivo o neutro.
Serviamoci di un es.: che
differenza c’è tra ascoltare un frigorifero per tutto il giorno, o sentire una
persona che iterativamente ripete tutto il giorno la stessa musica al
pianoforte?
Il primo
suono è un suono neutro che il nostro cervello non considera né pericoloso, né
affettivamente negativo, per cui in breve lo esclude, lo lascia sotto soglia e
noi non siamo più in grado di percepire quel suono se non con un atto cosciente.
Il
secondo suono può essere invece vissuto positivamente o negativamente a seconda
del significato che riveste per noi; pertanto se a suonare è nostra figlia che
deve conseguire un prestigioso diploma di pianoforte quel suono potrebbe essere
anche gradevole per noi, mentre se a suonare è la figlia del nostro vicino
antipatico diventa un qualcosa di fastidiosissimo ed insopportabile. Vale a dire
che a seconda di come il cervello legge un certo suono o segnale, questo può
assumere o meno un diverso significato.